Non ho ancora spiegato perché questo blog che è l’ideale estensione digitale del mio omonimo romanzo autobiografico inedito, ha questo titolo: né ho pubblicato interventi che abbiano attinenza coi motivi per cui quella locuzione latina ha un significato tanto importante per me. Forse, un giorno potrei persino tatuarla… se soltanto non m’avesse anticipato una persona con la quale, ahimè, sarebbe impossibile una relazione. Ho quel suo gesto impresso nella mente, così eccitante quando me lo mostrò.
Quella dei pendolari è un’esistenza diversa da quella di chi risiede nella stessa città in cui lavora. È facile individuare quanti la vivono da anni, rispetto a quelli che iniziano ad approcciarla o a chi non la conoscerà mai davvero: piccoli gesti, atteggiamenti, quasi dei rituali che accompagnano il pendolare dalla stazione di partenza all’arrivo e viceversa. Un’umanità sospesa che, suo malgrado, è costretta a esperire uno stato che i più hanno dimenticato… quello dell’attesa fine a sé stessa.
È evidente che esiste un problema (e che è pure piuttosto grave) nell’attribuzione dei compensi ai ricercatori: l’attività degli scienziati, infatti, è retribuita sulla base d’una classifica che nacque per misurare l’attendibilità delle riviste specializzate – non la qualità della ricerca – costringendo gli addetti alla pubblicazione compulsiva, senza che esista una reale esigenza di comunicare una scoperta o un’invenzione alla comunità. Qual è il valore effettivo delle pubblicazioni più citate?
L’ossessione per la ricerca del significato (nelle relazioni interpersonali, nello studio, nel lavoro, ecc.) è una patologia: un morbo che costringe chi n’è affetto a interrogarsi di continuo sul valore dei processi che lo riguardano. È opportuno identificare in questi un esplicito scopo o la minima interazione col mondo esterno diventa un’inutile perdita di tempo e uno spreco d’energie, col risultato di precludere inevitabilmente un esito positivo nel rapporto con gli altri individui coinvolti.
È un cortocircuito ideologico. Non saprei come definire altrimenti quel paradosso che in Italia spinge i rappresentanti de le due culture ad attribuire gli uni agli altri il primato nella considerazione sociale delle varie discipline (e nella ripartizione delle risorse economiche) nonché la massima responsabilità a un’élite estintasi con decenni d’anticipo rispetto al problema. Atteggiamento molto italiano di cui non beneficia nessuno e giustifica l’attuale immobilismo che caratterizza entrambi.
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